È passato quasi un anno da quando l’Associazione Italiana Pazienti Alopecia Areata & Friends (AIPAF), realtà attiva su tutto il territorio nazionale nel supporto, nell’informazione e nella rappresentanza delle persone che convivono con questa patologia autoimmune, ha avanzato una proposta di legge che ha acceso un dibattito importante nel mondo dell’alopecia in Italia.
Un dibattito che riguarda il riconoscimento, le tutele e il modo in cui l’alopecia viene finalmente portata all’attenzione delle istituzioni.
Come realtà che lavora ogni giorno a stretto contatto con donne che convivono con diverse forme di alopecia, sentiamo il bisogno di dare spazio a questa iniziativa. Non per semplificarla, né per ridurla a uno slogan, ma per comprenderne il valore, il significato e soprattutto il potenziale.
Perché ogni passo che porta l’alopecia fuori dall’invisibilità è un passo che, in modi diversi, riguarda tutte.
La proposta presentata dall’Associazione Italiana Pazienti Alopecia Areata & Friends si intitola “Disposizioni per il riconoscimento e la tutela delle persone affette da alopecia areata”.
Già dal titolo è chiaro l’obiettivo: dare un riconoscimento formale a una condizione che, pur essendo clinicamente definita, oggi vive ancora in una zona grigia dal punto di vista normativo e istituzionale.
Parlare di alopecia areata significa parlare di una malattia autoimmune. Il sistema immunitario attacca i follicoli piliferi, provocando una perdita di capelli che può essere improvvisa, discontinua, estesa o totale.
È una condizione ampiamente studiata e riconosciuta in ambito clinico. Eppure, nella vita reale, chi convive con l’alopecia areata si trova spesso a gestire percorsi frammentati, non sempre chiari o continui nel tempo.
Le diagnosi arrivano. Il “dopo”, invece, molto spesso dipende da fattori esterni: il contesto, il medico, il territorio.
Guardando alla sua diffusione nella popolazione, l’alopecia areata riguarda circa l’1–2% delle persone nel corso della vita. Una percentuale contenuta se confrontata con altre forme di alopecia.
L’alopecia androgenetica, per esempio, interessa fino al 40–50% delle donne in diversi momenti della loro vita. Questo dato è importante perché chiarisce un punto fondamentale: la proposta di legge non nasce perché l’alopecia areata sia la forma più diffusa, né perché il suo impatto sia “maggiore” rispetto ad altre condizioni.
Si parte dall’alopecia areata per una ragione strutturale. Essendo riconosciuta come patologia autoimmune, risulta oggi più facilmente inquadrabile dal punto di vista sanitario e normativo. È, in un certo senso, la via di accesso più percorribile per aprire un primo varco istituzionale.
Questo non crea una gerarchia tra le alopecie. Individua semplicemente un punto da cui iniziare.
È importante dirlo chiaramente, soprattutto per chi convive con altre forme di alopecia. L’alopecia androgenetica, così come le alopecie cicatriziali o quelle legate a squilibri ormonali, terapie o eventi traumatici, hanno un impatto profondo sulla vita quotidiana, sull’identità e sul benessere emotivo.
Il fatto che siano più diffuse o più “normalizzate” non le rende meno complesse, né meno degne di attenzione. Dal punto di vista umano, non esiste una scala del dolore.
Un punto centrale della proposta di legge riguarda il riconoscimento dell’alopecia areata come patologia cronica e invalidante.
“Cronica” significa riconoscere che non si tratta di una condizione passeggera o marginale, ma di una realtà che può accompagnare la persona nel tempo, richiedendo continuità di attenzione, monitoraggio e cura.
“Invalidante” non va inteso in senso funzionale o motorio, ma nel suo impatto psicologico, relazionale e sociale. Significa riconoscere che l’alopecia può incidere profondamente sulla qualità della vita, sull’identità personale e sulle relazioni, e che questo impatto merita considerazione istituzionale.
Questo riconoscimento non attribuisce automaticamente un’invalidità, ma introduce una cornice chiara: l’alopecia areata non è una questione estetica, ma una condizione con conseguenze reali, che devono essere legittimate anche a livello normativo.
La proposta di legge sull’alopecia areata va quindi interpretata come un primo tassello, non come un punto di arrivo.
Oggi, chi riceve una diagnosi di alopecia areata si muove spesso in un sistema disomogeneo. Il percorso successivo dipende molto dalla sensibilità del singolo medico e dal contesto territoriale.
L’impatto psicologico della patologia, che può essere significativo, viene spesso lasciato alla gestione personale. Non perché non esista, ma perché non è formalmente riconosciuto come parte integrante della condizione.
Il riconoscimento normativo introdurrebbe prima di tutto una cornice. Significherebbe affermare ufficialmente che questa è una condizione che merita attenzione strutturata, e non solo comprensione individuale.
Quando una condizione viene riconosciuta per legge, cambia anche il linguaggio. E il linguaggio, nel tempo, cambia la percezione.
Questo tipo di riconoscimento crea un precedente. E i precedenti, nel diritto come nella cultura, hanno un peso enorme.
L’Associazione Italiana Pazienti Alopecia Areata & Friends è attiva in tutta Italia attraverso eventi, iniziative e momenti di confronto.
In questo contesto, noi – come Red e Deb, prima ancora che come LadyDeWig – saremo presenti all’evento di Roma, presso il Policlinico Gemelli, in occasione della 7ª Giornata Nazionale dell’Alopecia Areata, in programma il 19 dicembre 2025.
Forse questa proposta di legge, oggi, non parla direttamente di tutte. Ma parla di qualcosa che riguarda tutte: il diritto di essere riconosciute, ascoltate e considerate senza dover continuamente dimostrare la legittimità del proprio vissuto.
Ogni percorso inizia con un primo passo.
Red & Deb